Molto spesso mi trovo a ragionare, assieme alle persone di cui mi prendo cura, di quanto sia importante riconoscere giorno per giorno la quota di conforto di cui avvertiamo un profondo bisogno.
La necessità di conforto può essere una condizione sfuggevole, latente, sotterranea: quasi assomiglia ai percorsi carsici che l’acqua compie in alcune aree montane. Allo stesso modo, la quota di conforto necessaria si ripresenta, puntualmente, alla superficie e ci chiede il conto.
Spesso, ci troviamo ad adottare strategie relazionali e comportamenti non propriamente funzionali, che rischiano solamente di creare situazioni ricorsive con una grande carica attrattiva, dettata dalla “strumentalità” del risultato: coprire la sensazione di necessità di conforto con qualcosa di immediato e non duraturo.
Un percorso pedagogico, partendo dallo “stato dell’arte” delle strategie relazionali che conosciamo, dei comportamenti attrattori e dei nostri stati emotivi, aiuta a costruire un bilancio dei propri bisogni e a progettare un tracciato evolutivo funzionale.
Uno dei ragionamenti più fieri e assertivi che Giacomo Corna Pellegrini, emerito professore di Geografia all’Università degli Studi di MIlano, era solito ricordare era che “ovunque si vada, ci si va con se stessi”.
Davanti a questa asserzione, noi giovani geografi ed esploratori delle umane verità, ci sentivamo inibiti e storditi. Cosa significavano davvero quelle parole: non avere altri compagni di viaggio se non noi stessi?
Nella ricerca frenetica del benessere, nel chiedere incessantemente conferma del proprio ben fare, ritrovo lo stesso inquietante interrogativo: sono da solo nel mio cercare di stare bene?
Oggi, come allora, mi rispondo che no: non siamo da soli nel nostro viaggiare, nel nostro cercare. Oggi come allora, forse più di allora sono convinto che ovunque si vada, il paesaggio cominci da noi stessi, ma non finisca lì.
Le relazioni attorno a noi sono terreno infinito, da esplorare un passo alla volta.
In un tempo in cui tutti avrebbero (avremmo) bisogno di “farsi vedere da uno bravo”, il grosso rischio è che ci si concentri quasi del tutto sulla parte individuale ed esclusiva delle problematiche di cui tutti sono (siamo) portatori.
Il prendersi cura pedagogico, l’intervento educativo, sono d’aiuto in questo senso: ricercano il focus dell’azione rimettendo al centro la relazione con sé e con gli altri.
Ogni intervento educativo, ogni progettazione pedagogica sono naturalmente e intrinsecamente inclusivi e partecipativi. I “costi” e i “ricavi” che le scelte individuali hanno nelle relazioni e sulle relazioni devono poter essere tenute in conto, nel sognare e immaginare una buona vita.
Spesso, chiacchierando con le persone di cui mi prendo cura, capita che io accosti in maniera ingenua e poco ricercata la coltivazione di un qualche ortaggio o di una qualche pianta alla relazione educativa.
Mi sento spesso ripetere “Prendersi cura delle piante non è così distante dal prendersi cura delle persone”. Lo butto lì, come se fosse qualcosa di scontato, come fosse una qualche verità da cioccolatino, mentre strappo le erbacce, poto le piante di mirtilli o raccolgo more di gelso e fichi assieme a qualcuno dei miei utenti.
In realtà non è così scontato e non è così ingenuo. Sono profondamente convinto che sia così. Che esista una sottile linea di continuità che unisca il “caregiver per esseri umani” ed il “caregiver per esseri vegetali”. Questa liaison risiede proprio nel “prendersi cura”, così distante e distinta dal “curare” inteso come “guarire”.
Prendersi cura, credo significhi prima di tutto avere il desiderio che l’oggetto (soggetto!) della cura cresca, si evolva: che possa cambiare secondo una natura intrinseca e specifica.
Credo, poi, che significhi dotarsi (e dotarlo) di tutti gli strumenti che possano indirizzare questa crescita senza sottrarla agli eventi traumatici, ma sostenendola e supportandola nelle avversità, rispettando e avendo fiducia nei suoi tempi.
Credo, infine, che “prendersi cura” significhi sognare i frutti.
Esattamente come quando pianti un albero di fichi e non sai bene se, quando e come questi fichi saranno, ma immagini già di vederli scaldare al sole e riesci a pregustarne il sapore mielato.
Riporto di seguito un mio intervento intitolato “Lavoriamo per stare bene” e scritto in occasione dei 35 anni di vita della Comunità Il Molino, sita in Mairano di Noviglio, specializzata in percorsi di riabilitazione e reinserimento sociale per persone affette da dipendenze patologiche. Trovate gli altri articoli scritti per l’occasione sul leaflet online a questo indirizzo.
<< Il percorso che ci troviamo davanti quando scegliamo di entrate in questa Comunità può spaventare, per diversi motivi. A qualcuno spaventa il distacco iniziale dai famigliari e dai cari. A qualcuno spaventa il distacco dai mezzi informatici e dai social network. A molti, moltissimi, spaventa il distacco dalle sostanze. Ad altri spaventa la convivenza. Ad alcuni spaventano gli orari che scandiscono la giornata, le regole imposte, i confini da accettare, il lavoro introspettivo che si deve intraprendere per conoscersi a fondo e non ricadere più nelle dinamiche ben conosciute dell’autodistruzione e dell’annientamento delle relazioni.
Ci piace pensare però che, se
esistono cento motivi per essere spaventati, esistono altrettante motivazioni
per credere di aver fatto la scelta giusta e spingerci a vicenda a fare fatica,
a costruire, a ricercare quotidianamente di stare bene, di stare a contatto con
le nostre emozioni, di restare all’interno delle relazioni quotidiane per
quanto possiamo dare e per quanto possiamo avere, di calibrare le nostre
aspettative quel tanto che basta per sospingerci ogni giorno nella nostra
personalissima evoluzione psicofisica, emotiva e relazionale. Sappiamo bene che
ogni regola, ogni richiamo, ogni incentivo, ogni successo è legato con gli
altri.
Sappiamo che esiste un elemento
della vita comunitaria al Molino che accomuna tutto ciò più di ogni altra cosa:
il lavoro. Il nostro percorso inizia e continua con l’inserimento in uno dei
tre ambienti di lavoro: “Manutenzione”, i cui membri si occupano della gestione
di carpenteria, muratura, idraulica, elettrica e imbiancatura degli edifici
della Cascina; “Allevamenti”, i cui componenti si occupano della gestione degli
animali per la produzione delle uova, della carne e dei salumi; “Verde”, i cui
addetti sono chiamati alla gestione stagionale e quotidiana degli orti, delle
siepi, delle aiuole e dei prati della cascina. La nostra giornata è scandita
dai tempi del lavoro. Dalle 9.00 alle 12.00 e dalle 14.00 alle 18.00 siamo
chiamati a portare a termine compiti necessari all’andamento positivo e
costruttivo della Cascina Segrona.
Ognuno ha il suo spazio, ognuno
ha il suo compito. Ognuno ha la possibilità di sperimentarsi in mansioni nelle
quali ha già esperienza o nelle quali magari non si è mai trovato. Ognuno ha la
possibilità di mettersi alla prova con i ritmi e i tempi di lavoro degli altri,
con la propria precisione o disattenzione, con la propria voglia di fare o con
la tendenza a perdere tempo. Attraverso il Lavoro, attraverso questa
quotidianità, possiamo sperimentare e costruire nuovi modi di relazionarci agli
altri e a noi stessi, in contatto con le nostre disperazioni e le nostre
speranze, con le nostre stanchezze e le nostre energie, con i nostri limiti e
le nostre capacità.
Ecco perché possiamo dire che “lavoriamo per stare bene”: oltre ai momenti comuni, oltre alle molte attività artistico-creative, oltre alle escursioni in montagna e ai corsi sportivi, oltre ai numerosi incontri terapeutici, le mansioni lavorative quotidiane sono uno dei banchi di prova più importanti ed impegnativi che ci troviamo a vivere lungo questo percorso di riabilitazione e reinserimento sociale >>.
“Quale orientamento“, nella quale sono descritte due direttrici teoriche che fanno da sfondo ad ogni azione proposta.
“Interventi… con chi?”, nella quale si descrivono in maniera essenziale alcuni degli interventi proposti per le famiglie, ed ogni componente, per gli/le insegnanti negli istituti scolastici di ogni ordine e grado e per gli studenti e le studentesse degli stessi istituti.