Grazie ad una preziosa collega, abbiamo messo insieme una chiacchierata di circa 30 minuti sull’essere educatore socio-pedagogico in contesto comunitario.
Se volete qualche spunto di riflessione sullo “stare con”, sull’importanza di una buona supervisione, sulle fatiche emozionali e relazionali che un operatore di comunità è chiamato ad affrontare: ascoltate l’intervista e lasciatevi ispirare.
Resto a disposizione per qualsiasi chiarimento e supporto.
Il Pedagogista è esperto in gestione relazionale ed in gestione emozionale. Fornisce supporto al dialogo famigliare, supporto genitoriale e supporto allo sviluppo della persona.
Per questo ha facoltà di intervenire, con la delicatezza e la decisione necessarie, in quelle situazioni che restano taciute, nascoste, volutamente mal viste in molte famiglie, nella convinzione che sia vero il detto “occhio non vede, cuore non duole” – rischiando invece di accumulare tensioni e sofferenze.
Lo fa attraverso una serie di colloqui mirati, in studio, a domicilio oppure online, con i singoli o in gruppo e, nei casi opportuni, realizzando interventi educativi ad hoc: esperienze da costruirsi e realizzarsi insieme per prendersi cura delle parti fragili e crescere in modo accurato.
Lo fa, ad esempio, in casi di comportamenti a rischio, dipendenze, ritiro sociale, autolesionismo, aggressività subita o violenza assistita, bullismo, problematiche nella gestione della rabbia, situazioni di iperattività, perdita motivazionale, disorientamento nella scelta formativa, fragilità genitoriali, difficile gestione del rapporto tra fratelli e sorelle, difficoltà nella coppia genitoriale, crisi famigliari.
La via pedagogica ed educativa offre un valido sostegno a chi, con delicatezza, non vuole più girare lo sguardo altrove.
“Mio figlio mi dice di sì e poi fa quello che vuole: Metti a posto la stanza… Studia… Rientra per le cinque… Dice sempre sì, e poi la stanza è sempre uno schifo… passa le ore a guardare i tutorial… rientra quando vuole!”
Quante ci troviamo a rivolgere ad amici e parenti questa lamentela, credendo che il tema sia il mancato rispetto del nostro ruolo genitoriale da parte di un figlio strafottente e viziato?
Le dinamiche nascoste dietro a questo sfogo possono essere disparate e molto complesse. La prospettiva pedagogica ci invita ad una riflessione focalizzata sulla relazione: è necessario, ad un certo punto del nostro sviluppo come gruppo famiglia, generare situazioni che accrescano il livello di affidabilità reciproca e la quota di responsabilità in capo ad ognuno.
In una relazione, si è affidabili quando si tiene un comportamento che dà alla controparte un margine di sicurezza sulla nostra capacità di soddisfare richieste o situazioni simili nel tempo.
Allo stesso modo, in quella relazione potrò dire di essere responsabile se, davanti ad una certa situazione, saprò valutare e considerare le conseguenze delle mie azioni sulla relazione e sulle persone coinvolte – e rispondere in coscienza.
Il momento più critico per parlare di affidabilità e di responsabilità è quello dell’adolescenza, in cui la persona in crescita ridiscute e contesta limiti e relazioni, per verificarne la tenuta e i contenuti.
Da che età è bene iniziare a parlare di affidabilità e responsabilità con i proprio figli? Quanto abbiamo già lavorato con i nostri figli e le nostre figlie su questi aspetti, nelle diverse fasi di crescita?
Quanto abbiamo bisogno di lavorare sulla nostra affidabilità e responsabilità di genitori? Quanto e come siamo disposti a sperimentarci e a sperimentare situazioni che ci allenino ad uno stile relazionale famigliare affidabile e responsabile, creando un’alleanza in questa direzione?
Una delle trovate fantascientifiche che più mi hanno intrigato nella lettura dell’opera di Herbert è sicuramente quella dello “scudo laser portatile”: un aggeggio da portarsi al polso o alla cintura, in grado di creare un campo di forza ideato per respingere e rallentare gli attacchi veloci e aggressivi.
Lo stile di lotta ideato per passare le difese di chi indossava uno scudo si concentrava su movimenti fluidi e suadenti, che permettevano alla lama di affondare lentamente nella difesa per arrivare al corpo dell’avversario.
Quante volte, in questi anni, ci siamo interrogati davanti a quegli adolescenti che sembravano indossare uno “scudo molle”, fatto di indifferenza millantata e strafottenza impenetrabile: contro le quali alzare la voce, imporre limiti ed elargire punizioni sembravano in tutto e per tutto come quegli “attacchi troppo veloci” deflessi dallo scudo di Paul Atreides!
Uno scudo che non può essere semplicemente “spento”, perché formatosi a difesa di una sensibilità troppo elevata, troppo accesa, troppo scoperta… fondamentalmente insicura. Allora meglio fingere (e crederci) che non puoi toccarmi. Allora meglio ributtarti indietro l’inutilità e l’ansia delle tue regole. Allora meglio deflettere le tue aggressioni e i tuoi giudizi spegnendoli in un lento affogare di silenzi e sguardi mancanti.
Quale strategia evolutiva possiamo offrire? Quali strumenti educativi possiamo usare davanti a questi “scudi molli”, se vogliamo stimolare una relazione che vada al di là delle difese, stimolando e recuperando la sensibilità emotiva dei portatori senza abusarne o ferirla? Quali passaggi, se vogliamo costruire una quotidianità funzionale e proiettata verso un prossimo futuro accettabile e fiducioso?
Ad ognuno una lettura pedagogica. Ad ognuno uno sguardo sul proprio paesaggio relazionale. Ad ognuno una nuova prospettiva.
Dott. Tommaso Biganzoli Pedagogista ed Educatore professionale socio-pedagogico Professionista disciplinato ai sensi delle leggi n.4/2013 e n.205/2017 C.F. BGNTMS78M04C139D P.IVA 10720700961
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