Esperienze per uno sviluppo accurato della Persona e delle Relazioni

Tag: interventi in famiglia

Pedagogia ed attività esperienziali, nuova intervista su Instagram.

Ringraziando nuovamente l’ottima Dott.ssa e collega pedagogista Cristina Ferretti vi invitiamo ad ascoltare la nostra chiacchierata sul senso di costruire esperienze emozionali e relazionali all’interno di un percorso di consulenza pedagogica.

Ci siamo soffermati anche sull’importanza di poter rileggere in chiave evolutiva le situazioni relazionali quotidiane e sull’importanza di avere tempi e spazi relazionali dedicati per la costruzione di emozioni e memorie condivise con i propri figli e le proprie figlie.

Trovate l’intervista Instagram a questo link.

Buona visione e buon ascolto!

Occhio non vede, cuore non duole? Pedagogista ascolta.

Il Pedagogista è esperto in gestione relazionale ed in gestione emozionale. Fornisce supporto al dialogo famigliare, supporto genitoriale e supporto allo sviluppo della persona.

Per questo ha facoltà di intervenire, con la delicatezza e la decisione necessarie, in quelle situazioni che restano taciute, nascoste, volutamente mal viste in molte famiglie, nella convinzione che sia vero il detto “occhio non vede, cuore non duole” – rischiando invece di accumulare tensioni e sofferenze.

Lo fa attraverso una serie di colloqui mirati, in studio, a domicilio oppure online, con i singoli o in gruppo e, nei casi opportuni, realizzando interventi educativi ad hoc: esperienze da costruirsi e realizzarsi insieme per prendersi cura delle parti fragili e crescere in modo accurato.

Lo fa, ad esempio, in casi di comportamenti a rischio, dipendenze, ritiro sociale, autolesionismo, aggressività subita o violenza assistita, bullismo, problematiche nella gestione della rabbia, situazioni di iperattività, perdita motivazionale, disorientamento nella scelta formativa, fragilità genitoriali, difficile gestione del rapporto tra fratelli e sorelle, difficoltà nella coppia genitoriale, crisi famigliari.

La via pedagogica ed educativa offre un valido sostegno a chi, con delicatezza, non vuole più girare lo sguardo altrove.

Fiducia, un gioco alla volta

Cosa si nasconde dietro alla Fiducia? Quale sottile meccanismo relazionale muoviamo quando sentiamo di avere a che fare con qualcuno di cui possiamo fidarci?

Se facciamo attenzione al momento in cui avvertiamo qualcuno come “meritevole di fiducia”, stiamo in fondo accettando il rischio che non lo sia.

Allo stesso tempo, pensiamo di meritare fiducia nel momento in cui sappiamo che le altre persone con le quali abbiamo a che fare accettano il rischio che possiamo tradire le loro aspettative.

Costruire una relazione di fiducia richiede tempi diversi a seconda delle persone coinvolte, ma non solo: richiede uno spazio di sperimentazione scevro da conseguenze insanabili, ricolmo di strumenti atti ad analizzare e recuperare gli errori fatti, regolato da passaggi espliciti, condivisi e volutamente non giudicanti.

Le situazioni di gioco, che i nostri figli e le nostre figlie sperimentano tra pari o con noi genitori, aiutano a creare quel genere di “spazio di sperimentazione” che sposta attenzione, giudizio e rischio in una dimensione “senza ricadute reali”.

Anche “i grandi” possono sfruttare situazioni di gioco strutturate e ripetute per rinsaldare la fiducia e sperimentare i confini relazionali con i propri pari: partner, colleghi, parenti. Non a caso, in piccolo, temporaneamente e in maniera non intenzionale, è quello che accade spesso durante le feste di Natale.

I Giochi di Ruolo sono uno strumento pedagogico ed educativo strabiliante, da questo punto di vista. Ne esistono di svariate versioni: tradizionali o di ultima generazione, con o senza dadi, con o senza regole preordinate, che durano 30 minuti o anni interi, che costruiscono mondi o che stanno racchiusi in una scatola.

Alcuni interventi socio-pedagogici trovano nel gioco – ed in particolare nel Gioco di Ruolo – uno spazio importante per la costruzione della fiducia tra le persone coinvolte.

Affidabile? Responsabile? Sì, Credici…

“Mio figlio mi dice di sì e poi fa quello che vuole: Metti a posto la stanza… Studia… Rientra per le cinque… Dice sempre sì, e poi la stanza è sempre uno schifo… passa le ore a guardare i tutorial… rientra quando vuole!”

Quante ci troviamo a rivolgere ad amici e parenti questa lamentela, credendo che il tema sia il mancato rispetto del nostro ruolo genitoriale da parte di un figlio strafottente e viziato?

Le dinamiche nascoste dietro a questo sfogo possono essere disparate e molto complesse. La prospettiva pedagogica ci invita ad una riflessione focalizzata sulla relazione: è necessario, ad un certo punto del nostro sviluppo come gruppo famiglia, generare situazioni che accrescano il livello di affidabilità reciproca e la quota di responsabilità in capo ad ognuno.

In una relazione, si è affidabili quando si tiene un comportamento che dà alla controparte un margine di sicurezza sulla nostra capacità di soddisfare richieste o situazioni simili nel tempo.

Allo stesso modo, in quella relazione potrò dire di essere responsabile se, davanti ad una certa situazione, saprò valutare e considerare le conseguenze delle mie azioni sulla relazione e sulle persone coinvolte – e rispondere in coscienza.

Il momento più critico per parlare di affidabilità e di responsabilità è quello dell’adolescenza, in cui la persona in crescita ridiscute e contesta limiti e relazioni, per verificarne la tenuta e i contenuti.

Da che età è bene iniziare a parlare di affidabilità e responsabilità con i proprio figli? Quanto abbiamo già lavorato con i nostri figli e le nostre figlie su questi aspetti, nelle diverse fasi di crescita?

Quanto abbiamo bisogno di lavorare sulla nostra affidabilità e responsabilità di genitori? Quanto e come siamo disposti a sperimentarci e a sperimentare situazioni che ci allenino ad uno stile relazionale famigliare affidabile e responsabile, creando un’alleanza in questa direzione?

Low Battery – Recharge!

Avete presente l’ansia che vi prende davanti alla batteria scarica del vostro cellulare? E avete presente la rabbia che vi assale quando, con l’1%, il caricatore non funziona?

Allo stesso modo reagiamo istintivamente davanti ad una persona che vive in uno stato di bassa energia, di malumore, di depressione. Che sia lieve o profonda. Che la spinga a starsene per qualche tempo sul divano o che la porti, invece, ad una condizione debilitante per lo studio, il lavoro, le relazioni private.

Alzati! Muoviti! Non stare lì fermo! Tirati su! Ci troviamo a dire e, magari, condiamo il tutto con qualche improperio o qualche veemente parola in dialetto.

La rabbia è la più viscerale e vitale scarica di energia che l’Essere umano abbia coltivato nel proprio patrimonio genetico. Anche davanti all’altrui carenza di energia, è la prima risposta naturale e istintiva che la nostra “memoria genetica” ripropone.

L’effetto che produciamo con questa istintiva “immissione di energia”, però, non sempre è quello che volevamo ottenere. Spesso la persona interessata si sente ancor più scarica, perché la nostra rabbia non è energia donata, ma – paradossalmente – energia richiesta, e quindi sottratta.

Come poter accompagnare al recupero di energie vitali coloro che ci stanno vicini, senza risultare noi stessi richiedenti?

La via pedagogica e la via educativa ci insegnano che “stare con” e “fare con” sono le due condizioni fondamentali per passare energia senza chiedere energia.

Stare con e fare con… che cosa, quando, dove? Un’attenta lettura pedagogica dei sistemi relazionali può fornire suggerimenti adeguati e sottili, volti a smuovere nella direzioni giusta i carichi energetici presenti. Un intervento educativo pianificato può fornire strumenti ed esempi creando esperienze condivise.

Lo scudo molle

Tratto da DUNE di Frank Herbert, Fanucci Editore, p. 367.

Una delle trovate fantascientifiche che più mi hanno intrigato nella lettura dell’opera di Herbert è sicuramente quella dello “scudo laser portatile”: un aggeggio da portarsi al polso o alla cintura, in grado di creare un campo di forza ideato per respingere e rallentare gli attacchi veloci e aggressivi.

Lo stile di lotta ideato per passare le difese di chi indossava uno scudo si concentrava su movimenti fluidi e suadenti, che permettevano alla lama di affondare lentamente nella difesa per arrivare al corpo dell’avversario.

Quante volte, in questi anni, ci siamo interrogati davanti a quegli adolescenti che sembravano indossare uno “scudo molle”, fatto di indifferenza millantata e strafottenza impenetrabile: contro le quali alzare la voce, imporre limiti ed elargire punizioni sembravano in tutto e per tutto come quegli “attacchi troppo veloci” deflessi dallo scudo di Paul Atreides!

Uno scudo che non può essere semplicemente “spento”, perché formatosi a difesa di una sensibilità troppo elevata, troppo accesa, troppo scoperta… fondamentalmente insicura. Allora meglio fingere (e crederci) che non puoi toccarmi. Allora meglio ributtarti indietro l’inutilità e l’ansia delle tue regole. Allora meglio deflettere le tue aggressioni e i tuoi giudizi spegnendoli in un lento affogare di silenzi e sguardi mancanti.

Quale strategia evolutiva possiamo offrire? Quali strumenti educativi possiamo usare davanti a questi “scudi molli”, se vogliamo stimolare una relazione che vada al di là delle difese, stimolando e recuperando la sensibilità emotiva dei portatori senza abusarne o ferirla? Quali passaggi, se vogliamo costruire una quotidianità funzionale e proiettata verso un prossimo futuro accettabile e fiducioso?

Ad ognuno una lettura pedagogica. Ad ognuno uno sguardo sul proprio paesaggio relazionale. Ad ognuno una nuova prospettiva.

Il conforto e la relazione

Whirlpool scuro

Molto spesso mi trovo a ragionare, assieme alle persone di cui mi prendo cura, di quanto sia importante riconoscere giorno per giorno la quota di conforto di cui avvertiamo un profondo bisogno.

La necessità di conforto può essere una condizione sfuggevole, latente, sotterranea: quasi assomiglia ai percorsi carsici che l’acqua compie in alcune aree montane. Allo stesso modo, la quota di conforto necessaria si ripresenta, puntualmente, alla superficie e ci chiede il conto.

Spesso, ci troviamo ad adottare strategie relazionali e comportamenti non propriamente funzionali, che rischiano solamente di creare situazioni ricorsive con una grande carica attrattiva, dettata dalla “strumentalità” del risultato: coprire la sensazione di necessità di conforto con qualcosa di immediato e non duraturo.

Un percorso pedagogico, partendo dallo “stato dell’arte” delle strategie relazionali che conosciamo, dei comportamenti attrattori e dei nostri stati emotivi, aiuta a costruire un bilancio dei propri bisogni e a progettare un tracciato evolutivo funzionale.

Pedagogia necessaria

Maglia, Cucire, Ragazza, Femminile, Fare, Mestiere

In un tempo in cui tutti avrebbero (avremmo) bisogno di “farsi vedere da uno bravo”, il grosso rischio è che ci si concentri quasi del tutto sulla parte individuale ed esclusiva delle problematiche di cui tutti sono (siamo) portatori.

Il prendersi cura pedagogico, l’intervento educativo, sono d’aiuto in questo senso: ricercano il focus dell’azione rimettendo al centro la relazione con sé e con gli altri.

Ogni intervento educativo, ogni progettazione pedagogica sono naturalmente e intrinsecamente inclusivi e partecipativi. I “costi” e i “ricavi” che le scelte individuali hanno nelle relazioni e sulle relazioni devono poter essere tenute in conto, nel sognare e immaginare una buona vita.