Esperienze per uno sviluppo accurato della Persona e delle Relazioni

Tag: paesaggio relazionale

Affidabile? Responsabile? Sì, Credici…

“Mio figlio mi dice di sì e poi fa quello che vuole: Metti a posto la stanza… Studia… Rientra per le cinque… Dice sempre sì, e poi la stanza è sempre uno schifo… passa le ore a guardare i tutorial… rientra quando vuole!”

Quante ci troviamo a rivolgere ad amici e parenti questa lamentela, credendo che il tema sia il mancato rispetto del nostro ruolo genitoriale da parte di un figlio strafottente e viziato?

Le dinamiche nascoste dietro a questo sfogo possono essere disparate e molto complesse. La prospettiva pedagogica ci invita ad una riflessione focalizzata sulla relazione: è necessario, ad un certo punto del nostro sviluppo come gruppo famiglia, generare situazioni che accrescano il livello di affidabilità reciproca e la quota di responsabilità in capo ad ognuno.

In una relazione, si è affidabili quando si tiene un comportamento che dà alla controparte un margine di sicurezza sulla nostra capacità di soddisfare richieste o situazioni simili nel tempo.

Allo stesso modo, in quella relazione potrò dire di essere responsabile se, davanti ad una certa situazione, saprò valutare e considerare le conseguenze delle mie azioni sulla relazione e sulle persone coinvolte – e rispondere in coscienza.

Il momento più critico per parlare di affidabilità e di responsabilità è quello dell’adolescenza, in cui la persona in crescita ridiscute e contesta limiti e relazioni, per verificarne la tenuta e i contenuti.

Da che età è bene iniziare a parlare di affidabilità e responsabilità con i proprio figli? Quanto abbiamo già lavorato con i nostri figli e le nostre figlie su questi aspetti, nelle diverse fasi di crescita?

Quanto abbiamo bisogno di lavorare sulla nostra affidabilità e responsabilità di genitori? Quanto e come siamo disposti a sperimentarci e a sperimentare situazioni che ci allenino ad uno stile relazionale famigliare affidabile e responsabile, creando un’alleanza in questa direzione?

Lo scudo molle

Tratto da DUNE di Frank Herbert, Fanucci Editore, p. 367.

Una delle trovate fantascientifiche che più mi hanno intrigato nella lettura dell’opera di Herbert è sicuramente quella dello “scudo laser portatile”: un aggeggio da portarsi al polso o alla cintura, in grado di creare un campo di forza ideato per respingere e rallentare gli attacchi veloci e aggressivi.

Lo stile di lotta ideato per passare le difese di chi indossava uno scudo si concentrava su movimenti fluidi e suadenti, che permettevano alla lama di affondare lentamente nella difesa per arrivare al corpo dell’avversario.

Quante volte, in questi anni, ci siamo interrogati davanti a quegli adolescenti che sembravano indossare uno “scudo molle”, fatto di indifferenza millantata e strafottenza impenetrabile: contro le quali alzare la voce, imporre limiti ed elargire punizioni sembravano in tutto e per tutto come quegli “attacchi troppo veloci” deflessi dallo scudo di Paul Atreides!

Uno scudo che non può essere semplicemente “spento”, perché formatosi a difesa di una sensibilità troppo elevata, troppo accesa, troppo scoperta… fondamentalmente insicura. Allora meglio fingere (e crederci) che non puoi toccarmi. Allora meglio ributtarti indietro l’inutilità e l’ansia delle tue regole. Allora meglio deflettere le tue aggressioni e i tuoi giudizi spegnendoli in un lento affogare di silenzi e sguardi mancanti.

Quale strategia evolutiva possiamo offrire? Quali strumenti educativi possiamo usare davanti a questi “scudi molli”, se vogliamo stimolare una relazione che vada al di là delle difese, stimolando e recuperando la sensibilità emotiva dei portatori senza abusarne o ferirla? Quali passaggi, se vogliamo costruire una quotidianità funzionale e proiettata verso un prossimo futuro accettabile e fiducioso?

Ad ognuno una lettura pedagogica. Ad ognuno uno sguardo sul proprio paesaggio relazionale. Ad ognuno una nuova prospettiva.

Geografie evolutive

Fonte, “Alla ricerca di Crisopea” un gioco di ruolo epistolare di Morgane Reynier.

Uno dei ragionamenti più fieri e assertivi che Giacomo Corna Pellegrini, emerito professore di Geografia all’Università degli Studi di MIlano, era solito ricordare era che “ovunque si vada, ci si va con se stessi”.

Davanti a questa asserzione, noi giovani geografi ed esploratori delle umane verità, ci sentivamo inibiti e storditi. Cosa significavano davvero quelle parole: non avere altri compagni di viaggio se non noi stessi?

Nella ricerca frenetica del benessere, nel chiedere incessantemente conferma del proprio ben fare, ritrovo lo stesso inquietante interrogativo: sono da solo nel mio cercare di stare bene?

Oggi, come allora, mi rispondo che no: non siamo da soli nel nostro viaggiare, nel nostro cercare. Oggi come allora, forse più di allora sono convinto che ovunque si vada, il paesaggio cominci da noi stessi, ma non finisca lì.

Le relazioni attorno a noi sono terreno infinito, da esplorare un passo alla volta.