Ringraziando nuovamente l’ottima Dott.ssa e collega pedagogista Cristina Ferretti vi invitiamo ad ascoltare la nostra chiacchierata sul senso di costruire esperienze emozionali e relazionali all’interno di un percorso di consulenza pedagogica.
Ci siamo soffermati anche sull’importanza di poter rileggere in chiave evolutiva le situazioni relazionali quotidiane e sull’importanza di avere tempi e spazi relazionali dedicati per la costruzione di emozioni e memorie condivise con i propri figli e le proprie figlie.
Il Pedagogista è esperto in gestione relazionale ed in gestione emozionale. Fornisce supporto al dialogo famigliare, supporto genitoriale e supporto allo sviluppo della persona.
Per questo ha facoltà di intervenire, con la delicatezza e la decisione necessarie, in quelle situazioni che restano taciute, nascoste, volutamente mal viste in molte famiglie, nella convinzione che sia vero il detto “occhio non vede, cuore non duole” – rischiando invece di accumulare tensioni e sofferenze.
Lo fa attraverso una serie di colloqui mirati, in studio, a domicilio oppure online, con i singoli o in gruppo e, nei casi opportuni, realizzando interventi educativi ad hoc: esperienze da costruirsi e realizzarsi insieme per prendersi cura delle parti fragili e crescere in modo accurato.
Lo fa, ad esempio, in casi di comportamenti a rischio, dipendenze, ritiro sociale, autolesionismo, aggressività subita o violenza assistita, bullismo, problematiche nella gestione della rabbia, situazioni di iperattività, perdita motivazionale, disorientamento nella scelta formativa, fragilità genitoriali, difficile gestione del rapporto tra fratelli e sorelle, difficoltà nella coppia genitoriale, crisi famigliari.
La via pedagogica ed educativa offre un valido sostegno a chi, con delicatezza, non vuole più girare lo sguardo altrove.
Sembra impossibile sentir parlare di Pedagogia fuori dai contesti didattici. Ci si chiede spesso che cosa possa fare uno specialista che si occupa di Sviluppo per qualcuno che a scuola non va: né per studio né per lavoro.
Un intervento educativo o un percorso pedagogico possono fare molto, in realtà, anche fuori dai contesti didattici. La nostra vita è una continua selezione di esperienze ed un continuo intreccio di relazioni: dagli sconosciuti che ci sorpassano in motorino, fino agli amori profondi e appaganti, dalla snervante routine quotidiana alle rassicuranti abitudini familiari.
È in questa selezione di esperienze, in questo intreccio di relazioni che la nostra persona evolve e si sviluppa. Tutti i giorni, per tutta la vita. L’esperienza “didattica”, il contesto “scolastico”, è il contesto in cui sviluppo e formazione sono espliciti e volutamente finalizzati: ma non è che uno dei contesti in cui sono presenti.
Il contesto familiare, ad esempio, è il contesto di sviluppo per eccellenza. Altrettanto, potremmo elencare anche i contesti delle attività con i pari (sport, gioco, tempo libero), il contesto lavorativo, il contesto di culto, il contesto dell’impegno sociale… In ognuno di questi contesti esistono esperienze e situazioni relazionali che spingono la nostra persona ad evolvere e a svilupparsi.
Succede che alcune di queste situazioni relazionali ci mettano in una condizione di fragilità, in una condizione delicata che presenta vincoli e possibilità evolutivi che da soli facciamo fatica a cogliere ed intraprendere, spesso perché siamo ancorati a meccanismi relazionali radicati e difficilmente modellabili – a loro modo consolanti, anche se disfunzionali!
Proprio qui si inserisce l’intervento pedagogico: senza alcuna pretesa terapeutica, intende prendersi cura della Persona e delle Relazioni che ha, nei contesti in cui vive, aiutando a evidenziare i vincoli ai quali è sottoposta per farne fruttare le possibilità evolutive, in un’ottica di ben-essere e funzionalità, per generare meccanismi relazionali accuratamente e realmente appaganti.
Spesso, chiacchierando con le persone di cui mi prendo cura, capita che io accosti in maniera ingenua e poco ricercata la coltivazione di un qualche ortaggio o di una qualche pianta alla relazione educativa.
Mi sento spesso ripetere “Prendersi cura delle piante non è così distante dal prendersi cura delle persone”. Lo butto lì, come se fosse qualcosa di scontato, come fosse una qualche verità da cioccolatino, mentre strappo le erbacce, poto le piante di mirtilli o raccolgo more di gelso e fichi assieme a qualcuno dei miei utenti.
In realtà non è così scontato e non è così ingenuo. Sono profondamente convinto che sia così. Che esista una sottile linea di continuità che unisca il “caregiver per esseri umani” ed il “caregiver per esseri vegetali”. Questa liaison risiede proprio nel “prendersi cura”, così distante e distinta dal “curare” inteso come “guarire”.
Prendersi cura, credo significhi prima di tutto avere il desiderio che l’oggetto (soggetto!) della cura cresca, si evolva: che possa cambiare secondo una natura intrinseca e specifica.
Credo, poi, che significhi dotarsi (e dotarlo) di tutti gli strumenti che possano indirizzare questa crescita senza sottrarla agli eventi traumatici, ma sostenendola e supportandola nelle avversità, rispettando e avendo fiducia nei suoi tempi.
Credo, infine, che “prendersi cura” significhi sognare i frutti.
Esattamente come quando pianti un albero di fichi e non sai bene se, quando e come questi fichi saranno, ma immagini già di vederli scaldare al sole e riesci a pregustarne il sapore mielato.
Dott. Tommaso Biganzoli Pedagogista ed Educatore professionale socio-pedagogico Professionista disciplinato ai sensi delle leggi n.4/2013 e n.205/2017 C.F. BGNTMS78M04C139D P.IVA 10720700961
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